martedì 8 maggio 2007

La morte della coscienza - ovvero la realtà dello stagista

Mi manca ancora un esame (e la tesi) per finire l'università, ma ne ho già dati 20: uno più uno meno, che cambia?

Perchè non possono abbonarmelo?

In fondo la materia che mi manca non è poi così fondamentale, diciamolo pure:

il latino non lo parla più nessuno.

Ma, per quanto io possa cercare di impegnarmi per portare a termine questo luuungo e aaapprofondito percorso di studi, il destino si mette sempre di mezzo e mi impedisce di studiare.

Avevo già raccolto tutto il materiale per preparare quell'inutile materia, qual è la letteratura latina, quando mi capita di essere presa a fare uno stage per gestire una galleria d'arte.

Lavorare in una galleria d'arte è proprio il mio sogno segreto (e nemmeno tanto) nel cassetto e quindi mi sono trovata costretta ad accettare (oh! povera me! Destino crudele…). Con quale coraggio avrei potuto dire di no, eh!?



[Qui urge aprire una parentesi per spiegare come sono finita a fare la stagista (questa parola evoca inequivocabilmente un'unica immagine nella mia testa: Monica Lewinsky con quell'orrendo vestito blu elettrico);

cercherò di farla breve: una mia amica (quasi sorella - ci conosciamo dalla prima elementare) viene a conoscenza di questa opportunità;

telefona per chiedere maggiori informazioni sulle caratterstiche necessarie per partecipare alla selezione e butta lì con non-chalance il fatto del corso di animatore museale e robe simili e così si guadagna un colloquio immediato;

al colloquio immediato viene praticamente incoronata come stagista perfetta e si vede consegnare le chiavi della galleria e svelare tutti i rituali di apertura e chiusura, una volta finita la cerimonia dell'incoronazione come stagista perfetta  pensa che quello è il momento giusto per fare il mio nome per il secondo posto in palio nel magico mondo dello stage;

ed eccomi catapultata nel magico mondo dello Stage, saltando a piè pari il limbo del call center]



Così ogni pomeriggio (esclusa la domenica e il lunedì) sono impegnata, insieme alla mia amica-sorella, con la gestione della galleria e perciò sono costretta mio malgrado (...muahahahAHAhah) a stare lontana dall'IL e da tutte quelle simpatiche poesiole che ha scritto Catullo tanto tanto tanto tanto tempo fa.

Ad ogni modo, tutto questo è già successo un mese fa e quindi ho avuto modo (e piacere) di conoscere (per telefono) nuove persone (le-stagiste-del-mattino) e di conseguenza ho potuto (e posso) finalmente sperimentare "il lavoro di gruppo" dal vero (e non come in quella buffonata di project work fatto col corso di Animatore Museale: avevamo ipotizzato un "Museo del Murales"... ma si può? si può essere tanto cretini?).

Sono arrivata alla conclusione più ovvia e condivisa dai più: il lavoro di gruppo (o d'equipe - che suona più figo) fa schifo, soprattutto se sono costrette a collaborare tra loro persone tanto diverse (età, cultura e interessi) e che non si possono nemmeno vedere di persona.

Prima di entrare nel merito dei simpatici scambi interculturali lavorativi avuti con le-stagiste-del-mattino, bisogna che io metta in chiaro una cosa fondamentale: il concetto di stage.

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Cosa si intende per stage?



Partiamo da cosa non si intende per stage: lo stage formativo non è quel tipo di lavoro non remunerato che ti permette di stare a stretto contatto con un esperto del settore, in cui stai per l’appunto facendo lo stage, per poterne carpire i trucchi e i segreti e fare tuo quel lavoro: no, non è questo!

Lo stage è sfruttamento (uno sfruttamento che però – in questo caso - a me non dispiace) lavorativo non remunerato, stop.

Detto ciò possiamo passare alla descrizione dei brevi ma intensi rapporti telefonici avuti con le-stagiste-del-mattino.

Bisogna, prima di tutto, specificare che costoro hanno all’incirca 10 anni più di noi e che probabilmente sanno poco o niente di come ci si comporta nella gestione di una struttura museale e/o espositiva e che il loro sport preferito è lamentarsi.

Si lamentano di tutto: del fatto che non hanno mai visto il capoccia della galleria (mentre invece noi si – mica è colpa nostra se questo va in galleria solo il pomeriggio) del fatto che non hanno un modello di riferimento a cui ispirarsi e al quale chiedere come compartarsi e che quindi non sanno cosa fare.



Le scuole e i fax



E’ stato detto loro di fare delle telefonate per invogliare le scuole a venire a visitare la galleria: alla prima risposta negativa e alla richiesta di un fax, hanno pensato bene di smettere di telefonare e, nonostante sapessero che il fax era già stato preparato (dalla mia amica sorella che di fax e cose comunicative in generale ne capisce, visto che studia relazioni pubbliche) e consegnato a chi di dovere per essere spedito, hanno ritenuto opportuno farne uno loro: lungo due pagine con tanto di foto gigante a tutta – prima - pagina (forse credono che i fax vengano stampati da omini lillipuzziani intrappolati nel telefono-fax), insomma hanno fatto una specie di rotolo -pubblicitario - del mar morto, con tanto di offerta in stile giorgio-mastrota: “alle prime tre scuole che chiameranno la visita guidata sarà gratuita e in omaggio una bici con cambio shimano”.



La brochure



La mostra è un po’ – come dire? – essenziale.

Non sono state previste brochure informative né volantini, nulla di nulla.

Però l’utenza ne ha fatto sempre richiesta, così una de le-stagiste-del-mattino ha fatto una bella pensata (diamo a Cesare ciò che è di Cesare – così intato ripasso il latino…): ha stampato il comunicato stampa, triste e sconsolato, senza un’immaginina, senza una fotina, senza niente di particolare – come si dice dalle mie parti – l’ha stampato “schitto e amaro”.

Quel volantino mi faceva una tristezza infinita e visto che avevamo ricevuto l’ok per fare tutto ciò che era nelle nostre possibilità, con l’unica condizione di non spendere un centesimo, mi sono armata di buona volontà e con un po’ di pazienza, qualche immagine (quelle concesse per i comunicati stampa e le agenzie giornalistiche) e il mio fido mac mi sono cimentata a creare (per la prima volta) una brochure.

Il risultato, modestia a parte, è stato piuttosto soddisfacente e ed è piaciuto ai “capi”.

Abbiamo stampato una cospicua scorta di brochure da piegare in seguito e l’abbiamo lasciata nell’ufficio per renderle accessibili anche a le-stagiste-del-mattino e, per fare la simpatica, sopra la carpetta ho attaccato un post-it con su scritto “brosciù”: le stagiste del mattino non lo vanno a correggere?

Si scrive brochureS”.

Ma và?

Davvero?

Menomale che ce l’avete detto!

Poi, in verità, la mia piccola brochurina aveva dei piccoli errori qui e là e loro anziché rendersi utili e correggere gli errori di battitura nel file sul pc si sono passate il tempo a correggere il titolo del file: ovunque trovavano scritto “brosciù” - PAM! - sentivano un istinto irrefrenabile che le costringeva a correggere il terribile errore, un po’ come il cane di Pavlov con il suono del campanello.

Un bel giorno le brochure piegate, esposte e date in pasto al pubblico – corrette alla meno peggio – sono andate esaurite, loro, anziché piegare le altre, hanno ristampato il triste volantino.

E, probabilmente consapevoli anche loro della incommensurabile tristezza di quel foglietto smunto, hanno fatto un’altra bella pensata: hanno fatto la brochure!!! (che brave!) – con il Power Point – e per la scelta delle immagini hanno indiscriminatamente saccheggiato il catalogo della mostra.

Alla domanda “perché non avete usato le brochure?” la-stagista-del-mattino ha cominciato a farfugliare cose senza senso, tipo:



“Quali brochure?

Brochure? C’erano le brochure?

Non lo sapevamo.

La stiamo noi facendo a colori.”



Con quale faccia (lavata) mi dici che non sei a conoscenza dell’esistenza della brochure dopo che ti sei passata il tempo, per quasi una settimana intera, a farci la lezione su come si scrive correttamente la parola BROCHURE?

Aggiungendoci per di più quella leziosa e inutile esse finale come a sottolineare la considerevole quantità di copie stampate: BROCHURES!

E sei pure ignorante! Non sai che in italiano non occorre specificare il plurale nei prestiti dalle altre lingue?



Infine, la brochure non può essere stampata a colori, perché:

a)    non ci sono soldi:

b)    la stampante dell’ufficio stampa in una splendida scala di grigi, ma niente colori;

c)    in realtà la brochure non avrebbe dovuto proprio esistere, è stata fatta solo per soddisfare la richiesta di  tutti quei deliziosi visitatori che l’han cercata e il suo uso e consumo va esaurito esclusivamente all’interno della galleria;



Quindi: Cosa vuoi fare tu a colori?



Io ti faccio a colori!

Oh!

3 commenti:

EmmeBbi ha detto...

oh! finalmente sei tornata a postare!!!

cazo, ma davero no l'ho sai ce si sccrive "brochure"???? certo ce sei proprio igniorante forte, eh???

eh sì, quella del "le parole in altre lingue non si declinano al plurale" è una lunga e difficile battaglia... fa troppo figo dire: ho visto molti films, spesso vado in montagna nei weekends, i fans delle stars accompagnavano cantando tutte le hits del momento... e tu non puoi farci niente!!! òrvuà!

nonhosemplicita ha detto...

ehy...ma come scrivi 'gnurant!!!
si scrive au revoir!
Oh!
Diamine un pò d'attenzione per dinci!

utente anonimo ha detto...

Senti...ma ce l'hai con le 30enni?O...solo con le sveglione "stagiste-della-mattina"?Io sn del '76 e mi sento un po' presa di mira...così...sai...indirettamente.
Comunque sia...smetti di lamentarti anche tu daiiii.....altrimenti sfogati con loro direttamente che così stai meglio.Saluti dalla 31enne!